Oggetto: Articolo de "Il Manifesto" 26-01-2010
di Antonello Mangano - PALERMO
altra italia - GLI ATTIVISTI RIOCCUPANO
Zetalab RITORNA A CASA
Un insegnante di greco che tiene corsi sulla non violenza ai poliziotti. Un autore di documentari sui migranti. E trenta sudanesi fuggiti dal Darfur. Sono tra le vittime dello sgombero violento del centro sociale palermitano. Ma ora la storia ricomincia Il primo è un docente universitario di greco, fondatore di un laboratorio della nonviolenza. Aveva persino tenuto seminari ai poliziotti. Gli hanno rotto il naso, venticinque giorni di prognosi e due punti di sutura. Il secondo è un regista, autore di documentari sui migranti premiati nei festival in tutta Europa. Lo hanno trascinato in strada per i capelli, prima di aggredirlo a calci. Infine trenta sudanesi, nella testa gli orrori del Darfur ed in tasca il permesso di soggiorno come rifugiati politici, costretti per cinque notti a dormire accampati sul marciapiede di via Boito. Fino a domenica mattina, quando gli attivisti hanno sfondato il muro di mattoni costruito per sigillare l'edificio sgomberati e si sono rimpossessati dell'ex laboratorio. È l'osceno bilancio di un giorno di follia a Palermo, è il risultato dell'azione della polizia contro il Laboratorio Zeta, il più atipico dei centri sociali siciliani.
Andrea Cozzo, 51 anni, insegnante alla facoltà di Lettere, aveva tenuto - tra i tanti - un seminario rivolto alle forze dell'ordine: «La gestione creativa e nonviolenta delle situazioni di tensione». Evidentemente non c'erano suoi alunni, martedì pomeriggio, nel cordone di celerini che ha fatto partire tre cariche una più brutale dell'altra. È bene chiarire che lo scorso 19 gennaio non ci sono stati "scontri" tra occupanti e polizia, ma un'aggressione gratuita, improvvisa e senza motivazioni. Durante queste ore di follia, Cozzo aveva provato a mediare tra forze dell'ordine e manifestanti. «All'improvviso, nel tardo pomeriggio, mentre davo le spalle al cordone della polizia, ho visto volare una bottiglia e poi non ho capito nulla», racconta. «Un poliziotto si è gettato addosso a me e mi proteggeva con il suo corpo. Ho cercato di ringraziarlo. So che è stato ferito anche lui». Vincenzo Guarrasi, preside della facoltà di Lettere, solidarizza con Cozzo: «Si tratta di un atto esecrabile. Il professore, noto per il suo impegno civile, è stato colpito mentre difendeva un luogo di accoglienza e di inclusione». Gandolfo Sausa, 55 anni, professore di religione e nonviolento dichiarato, è stato prima picchiato, poi arrestato e infine prosciolto.
«Mi hanno trascinato per alcuni metri tirandomi per i capelli», ci racconta Enrico Montalbano, regista e autore di documentari sull'immigrazione che hanno fatto il giro d'Europa. L'ultimo, "La terra (e)strema", racconta il lavoro dei migranti nell'agricoltura stagionale ed è uno dei tanti frutti della produzione culturale dello Zetalab. «La carica è stata immotivata, non può partire tanta violenza da una bottiglietta di plastica. Vuota. I poliziotti mi hanno circondato ed hanno cominciato a colpirmi mentre ero a terra. Con la coda dell'occhio ho visto uno che stava per saltarmi addosso. Un suo collega lo ha fermato all'ultimo istante. Poi, approfittando, di un momento di pausa, mi hanno trascinato via». Tutto filmato, un video ha ripreso questa scena incredibile. Un nugolo di poliziotti con scudi e bastoni separano i colleghi dai manifestanti, gli altri circondano e picchiano un uomo a terra, indifeso. L'intervento decisivo è di Pietro Milazzo, sindacalista Cgil e destinatario qualche mese fa di un surreale «avviso orale» da parte del questore, che lo invitava a «mutare condotta». Un provvedimento contro cui si schierarono Rita Borsellino, padre Alex Zanotelli, Leoluca Orlando e il comitato Addiopizzo.
Infine i sudanesi. Circa 30 rifugiati erano ospitati nei locali di Via Boito. Alcuni di loro avevano lavorato nel circuito dell'agricoltura stagionale ed erano stati anche a Rosarno. Il centro di Palermo era comunque un punto di riferimento per la comunità sudanese: tutti con lo status di rifugiato politico, dunque meritevoli di accoglienza da parte dello Stato. «Non si tratta solo di ospiti, ma compartecipi di un'esperienza», ricorda Umberto Santino, presidente del Centro Impastato, al microfono del presidio di fronte ai locali sgomberati e accanto alle tende nelle quali dormono gli africani. «Hanno visto il peggio che potevano vedere in patria. Non solo la miseria, ma gli orrori della guerra. Sono ancora traumatizzati», ricorda Montalbano. E questa è l'accoglienza che hanno ottenuto in Europa.
Non è la solita storia del centro sociale sgomberato. Il Laboratorio Zeta è un luogo che aveva ottenuto ampi riconoscimenti ufficiali. «Persino nel portale internet del Comune era indicato come uno dei luoghi di accoglienza che la città offriva», ricorda Fulvio Vassallo, docente a Giurisprudenza. Un luogo incluso nella carta dei servizi cittadina. Nel 2006, Zetalab era parte integrante della "Rete contro la violenza alle donne e ai minori" di Palermo, nata da un protocollo d'intesa firmato - tra gli altri - dalla Giunta insieme ad Università di Palermo, Policlinico, Procura della Repubblica, Provincia. E, tanto per continuare coi paradossi, carabinieri e polizia. Dal 2004, il Comune stipulava il contratto per la fornitura di luce e acqua, prova inconfutabile della rilevanza sociale del centro.
Con testardaggine degna di miglior causa, l'associazione Aspasia ha voluto ad ogni costo (era stato individuato un sito alternativo) prendere possesso di quel cubo di cemento per impiantarci un asilo privato. «Un esempio non nuovo di uso privato di locali pubblici», commenta Santino. E conclude: «Un Comune incapace di darsi una politica culturale che non sia la pioggia di contributi ad associazioni, enti, comitati di feste rionali con pizzo incorporato, appositamente costituiti al fine di incettare pubblico denaro, e che non ha mai dato una risposta dignitosa agli esuli africani che hanno il diritto di ottenere l'asilo politico. Questo coacervo di incapacità, di clientelismo mai sfiorito, di associazionismo interessato, in nome di una legalità tanto predicata quanto trasgredita, ha prodotto la violenta defenestrazione degli operatori del Laboratorio e dei rifugiati».
Domenica gli attivisti dello Zetalab si sono ripresi lo spazio sgomberato, soprattutto per ridare un tetto ai trenta rifugiati sudanesi costretti a dormire in tende all'aperto. In attesa dell'esito positivo di una nuova trattativa con il Comune. Intanto, dicono, «torniamo a casa». Poi si vedrà.
di Antonello Mangano - PALERMO
altra italia - GLI ATTIVISTI RIOCCUPANO
Zetalab RITORNA A CASA
Un insegnante di greco che tiene corsi sulla non violenza ai poliziotti. Un autore di documentari sui migranti. E trenta sudanesi fuggiti dal Darfur. Sono tra le vittime dello sgombero violento del centro sociale palermitano. Ma ora la storia ricomincia Il primo è un docente universitario di greco, fondatore di un laboratorio della nonviolenza. Aveva persino tenuto seminari ai poliziotti. Gli hanno rotto il naso, venticinque giorni di prognosi e due punti di sutura. Il secondo è un regista, autore di documentari sui migranti premiati nei festival in tutta Europa. Lo hanno trascinato in strada per i capelli, prima di aggredirlo a calci. Infine trenta sudanesi, nella testa gli orrori del Darfur ed in tasca il permesso di soggiorno come rifugiati politici, costretti per cinque notti a dormire accampati sul marciapiede di via Boito. Fino a domenica mattina, quando gli attivisti hanno sfondato il muro di mattoni costruito per sigillare l'edificio sgomberati e si sono rimpossessati dell'ex laboratorio. È l'osceno bilancio di un giorno di follia a Palermo, è il risultato dell'azione della polizia contro il Laboratorio Zeta, il più atipico dei centri sociali siciliani.
Andrea Cozzo, 51 anni, insegnante alla facoltà di Lettere, aveva tenuto - tra i tanti - un seminario rivolto alle forze dell'ordine: «La gestione creativa e nonviolenta delle situazioni di tensione». Evidentemente non c'erano suoi alunni, martedì pomeriggio, nel cordone di celerini che ha fatto partire tre cariche una più brutale dell'altra. È bene chiarire che lo scorso 19 gennaio non ci sono stati "scontri" tra occupanti e polizia, ma un'aggressione gratuita, improvvisa e senza motivazioni. Durante queste ore di follia, Cozzo aveva provato a mediare tra forze dell'ordine e manifestanti. «All'improvviso, nel tardo pomeriggio, mentre davo le spalle al cordone della polizia, ho visto volare una bottiglia e poi non ho capito nulla», racconta. «Un poliziotto si è gettato addosso a me e mi proteggeva con il suo corpo. Ho cercato di ringraziarlo. So che è stato ferito anche lui». Vincenzo Guarrasi, preside della facoltà di Lettere, solidarizza con Cozzo: «Si tratta di un atto esecrabile. Il professore, noto per il suo impegno civile, è stato colpito mentre difendeva un luogo di accoglienza e di inclusione». Gandolfo Sausa, 55 anni, professore di religione e nonviolento dichiarato, è stato prima picchiato, poi arrestato e infine prosciolto.
«Mi hanno trascinato per alcuni metri tirandomi per i capelli», ci racconta Enrico Montalbano, regista e autore di documentari sull'immigrazione che hanno fatto il giro d'Europa. L'ultimo, "La terra (e)strema", racconta il lavoro dei migranti nell'agricoltura stagionale ed è uno dei tanti frutti della produzione culturale dello Zetalab. «La carica è stata immotivata, non può partire tanta violenza da una bottiglietta di plastica. Vuota. I poliziotti mi hanno circondato ed hanno cominciato a colpirmi mentre ero a terra. Con la coda dell'occhio ho visto uno che stava per saltarmi addosso. Un suo collega lo ha fermato all'ultimo istante. Poi, approfittando, di un momento di pausa, mi hanno trascinato via». Tutto filmato, un video ha ripreso questa scena incredibile. Un nugolo di poliziotti con scudi e bastoni separano i colleghi dai manifestanti, gli altri circondano e picchiano un uomo a terra, indifeso. L'intervento decisivo è di Pietro Milazzo, sindacalista Cgil e destinatario qualche mese fa di un surreale «avviso orale» da parte del questore, che lo invitava a «mutare condotta». Un provvedimento contro cui si schierarono Rita Borsellino, padre Alex Zanotelli, Leoluca Orlando e il comitato Addiopizzo.
Infine i sudanesi. Circa 30 rifugiati erano ospitati nei locali di Via Boito. Alcuni di loro avevano lavorato nel circuito dell'agricoltura stagionale ed erano stati anche a Rosarno. Il centro di Palermo era comunque un punto di riferimento per la comunità sudanese: tutti con lo status di rifugiato politico, dunque meritevoli di accoglienza da parte dello Stato. «Non si tratta solo di ospiti, ma compartecipi di un'esperienza», ricorda Umberto Santino, presidente del Centro Impastato, al microfono del presidio di fronte ai locali sgomberati e accanto alle tende nelle quali dormono gli africani. «Hanno visto il peggio che potevano vedere in patria. Non solo la miseria, ma gli orrori della guerra. Sono ancora traumatizzati», ricorda Montalbano. E questa è l'accoglienza che hanno ottenuto in Europa.
Non è la solita storia del centro sociale sgomberato. Il Laboratorio Zeta è un luogo che aveva ottenuto ampi riconoscimenti ufficiali. «Persino nel portale internet del Comune era indicato come uno dei luoghi di accoglienza che la città offriva», ricorda Fulvio Vassallo, docente a Giurisprudenza. Un luogo incluso nella carta dei servizi cittadina. Nel 2006, Zetalab era parte integrante della "Rete contro la violenza alle donne e ai minori" di Palermo, nata da un protocollo d'intesa firmato - tra gli altri - dalla Giunta insieme ad Università di Palermo, Policlinico, Procura della Repubblica, Provincia. E, tanto per continuare coi paradossi, carabinieri e polizia. Dal 2004, il Comune stipulava il contratto per la fornitura di luce e acqua, prova inconfutabile della rilevanza sociale del centro.
Con testardaggine degna di miglior causa, l'associazione Aspasia ha voluto ad ogni costo (era stato individuato un sito alternativo) prendere possesso di quel cubo di cemento per impiantarci un asilo privato. «Un esempio non nuovo di uso privato di locali pubblici», commenta Santino. E conclude: «Un Comune incapace di darsi una politica culturale che non sia la pioggia di contributi ad associazioni, enti, comitati di feste rionali con pizzo incorporato, appositamente costituiti al fine di incettare pubblico denaro, e che non ha mai dato una risposta dignitosa agli esuli africani che hanno il diritto di ottenere l'asilo politico. Questo coacervo di incapacità, di clientelismo mai sfiorito, di associazionismo interessato, in nome di una legalità tanto predicata quanto trasgredita, ha prodotto la violenta defenestrazione degli operatori del Laboratorio e dei rifugiati».
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