mercoledì 10 dicembre 2008

Quali diritti umani? Violenza sui gay ma non per onore - Cirus Rinaldi su "la Repubblica" 28 maggio 2008

LA VIOLENZA nascosta, quotidiana e per questo sfibrante contro le persone gay, lesbiche, bisessuali e transgender (Glbt), è divenuta orribilmente visibile. Forse lo studioso, ma non soltanto lui, dovrebbe interrogarsi su quale cultura rende la violenza strumento legittimo.
ualecultura rende la violenza pratica sociale forma di oppressione non tanto per la specificità
degli atti violenti in sé, quanto piuttosto per il contesto sociale che li rende possibili, che li accetta
e li giustifica. L’atto del padre che ha accoltellato il figlio omosessuale «per onore e vergogna
» è motivo di indignazione ma pare non sorprendere i più: la violenza nei confronti delle
persone Glbt è sistemica e, occultamente, sistematica. Si trascura spesso che essa diventi, anche
a causa di stereotipie diffuse dai mass media, «possibilità» e mezzo legittimo all’interno dell’immaginario collettivo: in situazioni che, più di altre, «attirano» comportamenti violenti o in cui l’atto violento è tollerato, non si finisce che col rimanere desensibilizzati e assuefatti.
Il proliferare dell’uso di termini offensivi di derivazione omofobica e transfobica e l’idea di
perseguitare o schernire il compagno gay o trans si presenta a molti studenti «normali» nelle classi scolastiche come una possibilità giustificata. In questo caso alcuni comportamenti (o atti) vengono etichettati come «bravata», occultando così che l’odio e la paura per certi gruppi non sono ad altro riconducibili se non alla paura di perdere l’identità. È infatti preoccupante solo ipotizzare che vi sia un filo rosso tra i roghi dei campi nomadi nel napoletano, le trans braccate come selvaggina al Prenestino, e il caso di Palermo (e tutti quei casi che restano taciuti e occultati).Ma credo che una relazione esista. Forse bisognerebbe seriamente porsi questi interrogativi e definire strumenti in grado di comprendere la nuova temperie culturale che rende queste azioni manifeste. Situazioni come quella palermitana non fanno altro che richiamare l’attenzione su fattispecie ignorate dal nostro ordinamento e quanto mai necessarie, mi riferisco all’urgenza di norme che individuino e puniscano i crimini d’odio e la loro istigazione, ovvero tutti quegli atti e comportamenti violenti determinati da pregiudizi e stereotipi che generano discriminazioni di genere, appartenenza etnica e orientamento sessuale. Il crimine d’odio commesso nei confronti di una persona omosessuale in quanto omosessuale è motivo di danno secondario per l’intera comunità manifesta (e latente) di persone Glbt, perché non solo ha un impatto diretto e specifico ma costituisce un attacco simbolico nei confronti del gruppo discriminato cui appartiene la vittima. Nel primo caso, quello della comunità «dichiarata», «manifesta», azioni del genere possono ingenerare infatti disagio psichico, paura, modificandone anche le abitudini e gli stili di vita; nel secondo caso, la comunità latente, «in the closet», tutti quegli adolescenti Glbt che non riescono ancora a dirsi e a raccontarsi, rischiano di accentuare l’auto-isolamento fino a forme estreme di autolesionismo. Appare allora necessario animare un dibattito pubblico e un programma di ricerca e di intervento assai necessari all’interno della società civile, guardando come la violenza come imperativo culturalesovente investa persino religione e morale, travolte dal desiderio di credere e dal consumo di fede anche a scapito delle libertà individuale, della dignità della persona, delle sue emozioni, del suo corpo. Si tratta in definitiva di forme di esercizio di giustizia civile e sessuale.
L’autore è ricercatore di Sociologia giuridica alla facoltà di Scienze politiche dell’Università di
Palermo

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